Volontariato: prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali oppure come servizio continuo (come attività individuale o di gruppi e associazioni).

Definizione rigorosa della Treccani tuttavia, a mio parere, non completa. Scegliere di essere volontari è un bisogno interiore, uno slancio, o anche una sfida, arrivare a dire una missione? Forse… c’è chi ne ha fatto la propria missione di vita.

Eppure… non è necessario diventare eroi.

Non è necessario trovare la forza per cambiare il mondo. Restiamo umani e piccoli.

Schopenhauer, seppur nella sua fraintendibile schiettezza, diceva che la compassione ci porta di un passo più vicini al Nirvana: lasciamo uscire la nostra anima dalla ristrettezza del corpo per errare, vagabonda, tra quelli sconosciuti, lontani e magari per capire cosa si prova nell’essere l’altro.

Il Nirvana per ora lo mettiamo da parte, non è argomento di dissertazione, ma l’idea è quella: uscire dal sè.

Dunque, com’è la situazione del volontariato in Italia?

Recenti dati Istat ci dicono che, nel 2017, le istituzioni non profit attive in Italia sono 350.492 – il 2,1% in più rispetto al 2016 – e impiegano 844.775 dipendenti (+3,9%).

In generale aumenta la rilevanza delle istituzioni non profit rispetto al complesso del sistema produttivo italiano, passando dal 5,8% del 2001 all’8,0% del 2017 per numero di unità e dal 4,8% del 2001 al 7,0% del 2017 per numero di dipendenti.

Tra le regioni più dinamiche troviamo la Campania (+7,2%) e il Molise (+6,6%), ciononostante la distribuzione delle istituzioni non profit si presenta molto la localizzata sul territorio, con oltre il 50% delle istituzioni attive nelle regioni del Nord, contro il 26,7% dell’Italia meridionale e insulare.

Il numero di istituzioni non profit ogni 10mila abitanti è un indicatore che misura la rilevanza del terzo settore a livello territoriale: se al Centro-nord tale rapporto assume valori superiori a 60 (in particolare al Nord-est, dove raggiunge il livello di 69,2), nelle Isole e al Sud è pari rispettivamente a 48,3 e 43,7.

Tra l’altro è attualmente in corso la rilevazione campionaria del Censimento permanente delle istituzioni non profit riferita al 2021; avviata il 10 marzo, la sua conclusione è stata prorogata al 28 ottobre 2022.

I risultati dell’analisi effettuata, precedente a quella appena conclusa, sono positivi: la crescita di tale ambito denota l’impegno profuso dalla popolazione per la società, significa empatia, miglioramento della vita di chi ha meno possibilità e anche riscatto personale.

Ma cosa significa praticamente essere un volontario?

Si tratta di una situazione ambivalente: di certo comporta numerosi oneri nonché responsabilità, soprattutto quando si ricoprono ruoli dirigenziali, però vige il libero arbitrio: se si sceglie di voler assumere incarichi che implicano un impegno maggiore, allora l’attività di volontariato si connota come un vero e proprio lavoro; parallelamente, gli si può dedicare un tempo minore sulla base delle ulteriori attività personali. Non è un caso che la fascia d’età maggiormente coinvolta nelle attività di volontariato sia compresa tra i quaranta ed i sessant’anni: i giovani, solitamente, spendono molto del loro tempo per lo studio e soltanto verso la fine del percorso universitario, pensando anche alle future prospettive di lavoro, si avvicinano a questo settore.

Infatti, quasi paradossalmente, l’Istat riporta che: “Il settore non profit continua a espandersi con tassi di crescita medi annui superiori a quelli che si rilevano per le imprese orientate al mercato, in termini sia di numero di imprese sia di numero di dipendenti.” Pertanto, seppure l’attività di volontariato cominci per ragioni di qualunque natura, non è da escludere che si evolva in attività lavorativa. 

Inoltre, da un progetto condotto dall’università di Padova (capitale europea del volontariato 2020) è emerso l’alto grado di benessere delle persone coinvolte nel terzo settore; si è concordi nel ritenere che dare si traduca in ricevere perché, in effetti, l’intangibilità di un sorriso, della riconoscenza o della consapevolezza di aver fatto del bene non si possono mettere in tasca, l’unico posto dove si può portare questa ricompensa è il cuore… e un cuore ricco batte meglio.

Quindi, che altro dire se non che il volontariato fa bene? A chi lo pratica e a chi ne beneficia.


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