La società contemporanea è stata definita, nella letteratura sociologica che va da Giddens a Beck a Le Breton come una società del rischio. Siamo, infatti, costantemente minacciati sia da pericoli naturali, sia da pericoli di natura antropica, ovvero prodotti dall’uomo stesso.

Vi sono società che sperimentano uno stato di insicurezza permanente a causa delle continue guerre e a uno stato di fame e povertà ormai endemico. I paesi occidentali industrializzati, al contrario, hanno sviluppato un apparato economico-politico in grado di garantire condizioni di vita accettabili per la maggioranza della popolazione. Eppure nessuno può dirsi al riparo dai rischi: il rischio è al cuore della condizione umana. La malattia, un lutto, la perdita del lavoro o una separazione affettiva possono investire chiunque in maniera improvvisa, travolgendo completamente la vita quotidiana di chi ne è coinvolto, i suoi progetti e perfino le sue relazioni sociali.

Il rischio, tuttavia, non è una invenzione moderna. Anche nel passato gli uomini si trovavano a fronteggiare situazioni avverse, ma nella società moderna – sempre più individualizzata – ogni individuo assume sulle proprie spalle il peso di ogni decisione, è da solo artefice e al tempo stesso  responsabile del proprio successo, ma si trova anche solo nell’affrontare il proprio fallimento, e, come scriveva il sociologo Ulrich Beck,  «l’attribuzione di colpa» diventa il fardello aggiuntivo per ogni suo insuccesso.

Dunque, oggi più che in passato, diviene fondamentale saper coltivare la resilienza. Il termine resilienza, mutuato dalla fisica, indica – in psicologia – la capacità non solo di saper resistere agli urti della vita, ma anche di reagire agli eventi traumatici riorganizzando positivamente la propria traiettoria biografica.

Ognuno di noi parte alla nascita con un corredo psichico predisposto a questa funzione pertanto la resilienza non è una qualità innata e immutabile, ma si apprende con l’esercizio e l’esperienza.

Tutti nella vita ci troviamo a vivere sulla nostra pelle momenti di difficoltà dai quali sembra impossibile rialzarsi. Vi è solitamente una tendenza diffusa a percepire il pericolo come lontano, a sottovalutarlo e a sentirsi meno vulnerabili rispetto agli altri di fronte a una minaccia. Questo può portare il soggetto a vivere gli eventi negativi come una sconfitta personale che può avere conseguenze disastrose sul piano psicologico e sociale. Quindi, essere resilienti vuol dire cambiare prospettiva, imparando che la vita non è sempre semplice e lineare, ma può essere accidentata e presentare ostacoli inattesi, ma non necessariamente insuperabili.

Questa rubrica si propone proprio di trasmettere un messaggio di forza e di coraggio attraverso le testimonianze di coloro che sono riusciti a uscire da situazioni di impasse e a prendere in mano le redini della propria esistenza accettando di essere vulnerabili, ma non impotenti.

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