C’è un ragazzo, una persona, un essere umano, ha diciotto anni ma non le preoccupazioni dei suoi coetanei, vive in Gambia con uno zio che ha avuto tre mogli e parecchi figli. I suoi genitori non possono prendersi cura di lui, sono morti in un incidente stradale sette anni prima e, al bambino che era, è rimasto l’evanido ricordo dei volti di sua madre e di suo padre.
Ha voglia di scappare, cerca i suoi spazi, l’indipendenza, i suoi amici sono lontani, partiti in cerca di fortuna. S’imbarca e dopo trecentosessantacinque lune riesce ad arrivare in Calabria, è maggio 2016.
In Italia non ha ancora un nome, nelle Marche chiede il permesso di soggiorno per motivi umanitari ma gli è negato; allora viene intrapresa una lunga procedura legale presso la questura di Ancona, ma lui decide di andar via. Arriva nel Nord dell’Europa, prima in Germania poi in Finlandia, da clandestino, difatti, dopo due anni, secondo gli Accordi di Dublino, è stato mandato nel paese dov’era sbarcato. Dunque, nel dicembre 2018 si ritrova in Italia e ritrova anche il suo nome: Amadou Javo.
Nicola, sindacalista avvezzo a situazioni difficili, se ne occupa, lo va a prendere alla stazione di Roma Termini, gli dà il suo numero, gli fa compagnia.
Il ragazzo si fida di lui: gli telefona, gli chiede consiglio, eppure il permesso non arriva.
Maria, compagna di Nicola, va spesso a far visita al ragazzo ma le condizioni in cui vive le rendono il cuore pesante. I numerosi colloqui con l’avvocato che segue la causa del ragazzo la convincono ad intraprendere una strada diversa: l’adozione.
Adesso frequenta scuole serali, vive a Fano, nelle Marche, dove sta costruendo solide basi per il suo futuro.
Eppure Maria nutre ancora delle preoccupazioni: sente fortemente la presenza del pregiudizio, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione; affinché suo figlio possa essere parte integrante della società è necessario garantire la massima qualità nei servizi, a chiunque.
Amadou ha insegnato tanto: la semplicità, la serenità, il meravigliarsi per l’importanza delle azioni quotidiane, la sovrabbondanza che contraddistingue le nostre abitudini…
adesso è felice, anche sua madre lo è.

L’adozione è una pratica presente nella società da secoli.
Una delle sue prime evidenze storiche risale al II millennio a.C. con il Codice di Hammurabi nel quale una delle leggi normava i diritti e doveri degli adottanti e degli adottati. In seguito tra i Romani questa pratica fu molto diffusa per garantire successori nel culto degli antenati, ma anche a scopo politico, affinché chi non avesse figli naturali o legittimi, adottando, potesse avere una discendenza.
Ad oggi l’adozione è un istituto giuridico. In Italia essa è permessa a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni (periodo che può essere raggiunto computando anche un periodo di convivenza pre-matrimoniale). Questo non basta, c’è bisogno di altri requisiti come la maggiore età, ma anche l’effettiva idoneità ad educare, istruire e sostenere economicamente i minori che intendono adottare.
Vi sono poi casi particolari in cui anche una persona senza coniuge possa adottare, come in presenza di un legame familiare o di un forte attaccamento da parte del minore nei confronti dell’adottante.
Ogni paese ha le proprie norme, motivo per il quale nel caso di un’adozione internazionale, si deve sottostare anche alla legislazione dello stato in cui ci si trova.
Per quanto riguarda invece le coppie omosessuali, nel mondo possono adottare in 33 paesi, ma esistono anche Stati oscillanti a riguardo, come il Messico. Inoltre, vi sono luoghi che, pur non consentendo l’adozione di minori da parte di coppie dello stesso sesso, riconoscono a chi è in coppia con una persona di sesso uguale l’adozione dei figli naturali e adottivi del partner, come l’Estonia e San Marino.
Oltre alla sfera legale, va considerato comunque che si tratta di pratiche lunghe, costose ed impegnative.
Nonostante ciò, sono migliaia le coppie che decidono di dare una seconda opportunità a minori, adottandoli, istruendoli e crescendoli. Queste sono spinte dal desiderio di avere un figlio, desiderio per molti impossibile da esaudire a causa di molteplici motivi, il più comune l’infertilità.
Quando si parla di adozione inoltre, va tenuto a mente l’aspetto sociale. Nei casi in cui l’adottato provenga da un paese con cultura e tradizione diverse rispetto a quello dell’adottante, ci dovrà essere un programma di integrazione. Soprattutto nei casi di adozione in età avanzata, l’individuo non deve essere costretto ad annullare il proprio “io” per conformarsi alla nuova società.
Presupposto essenziale su questo fronte è l’apertura della suddetta società nei confronti degli adottati. Per la situazione descritta, è intuibile quanto il processo di adozione sia lungo e molto più complesso di quanto si possa immaginare, e che oltre alla questione burocratica, c’è anche quella sociale. Per quanto la prima non riguardi direttamente i cittadini, la seconda è compito nostro, pertanto è necessario creare una società in cui sia possibile per tutti l’inserimento, preservando predisposizioni ed attitudini personali.